sabato 29 agosto 2009

Progresso fermati la guerra!




Internazionalizzazione
Il nuovo business attira acquirenti pubblici e privati
28.08.2009 Il business si apre alle nuove frontiere e nessuno vuole starne fuori.
Alla base della scelta di acquistare all'estero terreni agricoli ci sono necessità e situazioni di partenza diverse da paese a paese. Ecco i principali attori di questo nuovo business e le loro strategie, così come le descrive "Seized!", uno degli studi più completi in circolazione realizzato dalla Ong catalana "Grain".La Cina è tra gli Stati più attivi in questo tipo di shopping internazionale a causa della pressione demografica crescente e delle limitate risorse idriche. Con il 40% dei contadini mondiali, ma solo il 9% delle terre agricole, la sicurezza alimentare è in cima alle priorità politiche di Pechino. Si contano già diverse decine di accordi conclusi negli ultimi anni, anche se non ci sono dati ufficiali complessivi. I "paesi-obiettivo" sono sparsi ovunque: gli acquisti sono avvenuti in Asia e in Africa, dal Kazakhistan all'Australia e dal Mozambico alle Filippine. Il Governo cinese ha annunciato che nei prossimi 50 anni investirà nell'agricoltura africana 5 miliardi di dollari attraverso il Fondo di sviluppo Cina-Africa (Cadf), un fondo di private equity della Banca di sviluppo cinese. Gran parte delle colture cinesi all'estero sono dedicate a riso, soya e mais, oltre a canna da zucchero, tapioca e sorgo per biocarburanti. Come contropartita, Pechino offre tecnologia, infrastrutture e formazione della manodopera locale.Ricchezze disponibiliI paesi della regione (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) dispongono di pochissima terra coltivabile e per allevamento, ma non mancano i "petrodollari" con cui trattare l'acquisto di altri spazi all'estero. In questi stati (costretti a comprare gran parte del cibo fuori dai propri confini, soprattutto in Europa) la contemporanea crescita dei prezzi alimentari e perdita di valore del dollaro, a cui sono agganciate tutte le monete locali ad eccezione di quella del Kuwait, ha portato l'inflazione interna a crescere notevolmente. E la bolletta alimentare è cresciuta del 150% negli ultimi 5 anni.Una situazione insostenibile, specie se si pensa che la popolazione è formata in larga parte da manodopera straniera a basso reddito, che non può quindi sostenere una spesa elevata per l'alimentazione (nel 2007 il 63% degli abitanti proveniva dall'estero). Il primo obiettivo, formulato sotto l'egida del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), è di produrre cibo all'estero per poi importarlo, così da sfuggire alle oscillazioni dei mercati mondiali. Gli stati nei quali finora è stata acquistata o affittata più terra sono Sudan e Pakistan, seguiti, nel Sud-Est asiatico, da Birmania, Cambogia, Indonesia, Laos, Filippine, Thailandia e Vietnam, oltre che da Turchia, Kazakhistan, Uganda, Ucraina, Georgia e Brasile.In Asia anche Giappone, Corea del Sud e India si stanno dando da fare per accaparrarsi terreni agricoli in giro per il mondo. Il Giappone importa circa il 60% del proprio fabbisogno alimentare e la Corea del Sud, se si esclude il riso, supera il 90 per cento. Il governo di Seul ha avviato nel 2008 un piano per facilitare le acquisizioni all'estero, contando soprattutto sulle imprese private. Gli accordi (già sottoscritti da società sud-coreane o dallo stesso governo, o ancora in fase di discussione) hanno interessato la Mongolia, la Russia orientale, il Sudan, l'Argentina e altri Paesi del Sud-Est asiatico. In Giappone tutta l'azione sul campo è affidata ad aziende private, mentre il Governo si occupa della cornice politico-diplomatica, stipulando accordi di libero scambio, trattati bilaterali e patti di cooperazione allo sviluppo. L'India è impegnata sul fronte delle acquisizioni internazionali di terra attraverso sia le società di commercio di proprietà statale, sia i privati attivi nell'agrobusiness. Si cerca così di ottenere campi per coltivare e per allevare bestiame, con l'obiettivo di riportare la produzione in patria, sopperendo così alla scarsità di terre fertili e di risorse idriche. New Delhi sta cercando di conquistare campi in Birmania (per la coltivazione di lenticchie), in Indonesia (piantagioni di palma da olio), Uruguay, Paraguay e Brasile (soia).

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